E’ indubbio; è in atto una fuga dalle libere professioni, non solo, ma è in corso anche la fuga dal lavoro autonomo in genere, compresi artigiani, che preferiscono passare, ad attività già inoltrata, “sotto padrone” piuttosto che combattere contro le difficoltà, soprattutto economiche, ma anche di qualità di vita che contraddistinguono chi esercita un’attività indipendente.
In passato all’impegno profuso in un’attività di lavoro autonomo corrispondeva una serie di soddisfazioni, soprattutto economiche che, poco alla volta, sono venute meno.
Già dagli anni ’90 il blocco delle assunzioni ha fatto riversare nelle professioni un gran numero di giovani diplomati e laureati saturando un mercato al quale le istituzioni hanno sempre rivolto accuse di evasione fiscale e scarsa concorrenza; da un lato, infatti, i vari governi hanno “nascosto” la disoccupazione nelle professioni, dall’altro le utilizzavano per addebitare loro i fallimenti dell’attività politica fiscale ed economica.
Negli anni duemila la già poco rosea situazione, dovuta all’affollamento, è stata peggiorata da una serie di normative quali le liberalizzazioni, le leggi a favore dei consumatori, ma anche leggi speciali che andavano a carico di singole professioni, che hanno reso poco appetibile il lavoro autonomo, soprattutto quello professionale.
Negli ultimi anni, però, si sta verificando un’inversione di tendenza che rischia di apportare problemi alla collettività, problemi dovuti alla fuga delle professioni.
In particolare il crollo delle nascite imporrà, nei prossimi anni, l’azzeramento o quasi dei nuovi ingressi, tenendo conto che i pochi giovani saranno attirati da occupazioni più “sicure” ed esenti dalle problematiche del lavoro autonomo; d’altra parte nel giro di dieci, quindici anni, andranno in pensione le generazioni post ’90, che faranno crollare il numero dei professionisti in attività e ciò imporrà due ordini di problemi: la prevedibile carenza di artigiani e professionisti, che diventerà un problema grave ma, soprattutto, verrà a mancare l’afflusso di risorse economiche che serviranno a pagare le pensioni di coloro che intendono fuggire dalle professioni in controtendenza col normale trend visto che, fino ad oggi, i professionisti lasciavano l’attività in età avanzata.
A questo punto come si penserà di intervenire? Sulla prima questione la cd “intelligenza artificiale” potrebbe venire in soccorso permettendo ad un numero sparuto di operatori di occuparsi di un gran numero di casi, ma non è detto che, questi, riescano a sopperire anche alle entrate necessarie per pagare le pensioni ai predecessori.
Allora, chiaramente, dovrà intervenire lo Stato, ma a questo punto, saprà lo Stato rivolgersi a quelle grandi imprese che sono state avvantaggiate dalle varie normative, a danno dei professionisti, pretendendo un loro intervento quando hanno permesso loro di utilizzare le maggiori entrate non a favore dell’occupazione ma a favore degli amministratori delegati o per le delocalizzazioni?
Non è una coincidenza che, a fronte di un peggioramento delle condizioni dei professionisti, si sia verificato un peggioramento anche dello stato dei dipendenti; molti profili di dipendenti sono stati sostituiti da professionisti “esterni” ormai privi di tutele economiche con prevedibile blocco delle retribuzioni dei dipendenti.
Oggi, qualcuno, si lamenta di questo fatto, ma un tempo richiamava gli imprenditori a investire in Italia in quanto i lavoratori costassero meno.
Paolo Gatto