“Voi amministratori siete come noi e gli arbitri: vi odiano tutti”.
Vorrei partire da questa frase dedicatami scherzosamente da un consulente bancario per aprire una riflessione:
fino all’uscita del Decreto Legge 220/12, che ha posto le basi della professione come la conosciamo oggi, la figura dell’amministratore di condominio era poco delineata: non c’erano requisiti di professionalità, l’amministratore era spesso un condomino con le conoscenze appena sufficienti per redigere i documenti contabili meno complicati e la gestione era approssimativa, poco dettagliata e, trattandosi nella maggior parte delle volte di volontariato o di un’attività da svolgere nel tempo libero per arrotondare lo stipendio, il compenso era nullo o comunque decisamente basso.
Con l’evoluzione della professione e la maggiore quantità di persone ed enti che si dedicavano esclusivamente alla gestione condominiale, si è sentito il bisogno di porre dei “paletti” e fissare dei requisiti per esercitare la professione al fine di rendere più uniforme la qualità del servizio.
Ad oggi, dopo la Riforma del condominio, gli amministratori acquisiscono, attraverso corsi obbligatori organizzati dalle Associazioni, competenze giuridiche, tecniche, fiscali, contabili e conoscenze in materia di responsabilità, assicurazioni, urbanistica e addirittura psicologia; se qualche condomino si è lamentato della mole di documenti presentati a fine gestione e della crescente difficoltà di comprensione dei rendiconti è proprio perché abbiamo assistito a un innalzamento del livello della professione in termini di istruzione richiesta.
Tuttavia, l’amministrazione condominiale è ancora considerata una “professione non regolamentata” e “non protetta”, ovvero non richiede un titolo di studio specifico né è organizzata in ordini e albi, il che non solo non permette di verificare agevolmente l’effettiva regolarità del professionista, ma esclude anche la possibilità di prevedere tariffari. A sostituire l’organizzazione e a difendere la professione ci pensano le Associazioni, realtà fortunatamente in crescita, che tuttavia sono enti separati e per natura difformi, per cui non sempre si arriva a un accordo sui temi di interesse né sono considerabili garanzia di qualità del servizio.
Quindi, ricapitolando: ora in teoria l’amministrazione è certificata, ma ancora vista male per il tempo relativamente breve in cui la professione si è evoluta, non permettendo alla visione della stessa di adattarsi altrettanto velocemente.
Questo è particolarmente dannoso, poiché i proprietari, per lo più anziani avvezzi alla “vecchia amministrazione”, sono portati a sentirsi al pari degli amministratori che invece svolgono quotidianamente e professionalmente l’attività di gestione, con un’istruzione specialistica alle spalle e sottoposti a continui aggiornamenti, e per lo stesso motivo ritengono che i compensi richiesti siano troppo esosi. Così molti amministratori, con organizzazioni sempre più complesse per il cui sostentamento non sono sufficienti i compensi ridotti richiesti, per sostenere l’attività sono costretti a ricorrere a stratagemmi e talvolta a cedere alla corruzione. Chi sceglie di lavorare onestamente, ha spesso un compenso minimo che non consente di sostentare una famiglia, anche a causa delle tasse ingenti richieste ai professionisti in genere.
Gli stessi amministratori sono convinti di svolgere un lavoro umile, poiché spesso operato come seconda scelta.
Ebbene, è il momento di rivalutare e ridare dignità a questa professione: si stima che il 60% degli italiani viva in un condominio, il che significa che gli amministratori gestiscono parte del patrimonio di più della metà degli italiani, curando i servizi essenziali, manutenendo gli spazi comuni e gestendo i rapporti tra vicini e con le pubbliche amministrazioni.
L’amministrazione, poiché in continua evoluzione ed espansione, complice anche la possibilità per le società di partecipare al mercato, se giustamente retribuita può creare posti di lavoro ed, essendo l’amministratore l’organo esecutivo dell’assemblea condominiale, esso rappresenta un importante intermediario nella commissione di opere, contribuendo così all’economia locale. E’ bene inoltre sapere che gli stessi amministratori sono abilitati a gestire immobili di tutti i tipi, anche di proprietà pubblica, e potrebbero così essere responsabili dell’uso di fondi pubblici in collaborazione con l’Economato.
In conclusione, l’amministratore condominiale è un pilastro portante – ma apparentemente nascosto – della società e la sua immagine di individuo ladro, corrotto o sospetto, da controllare e di cui non fidarsi, è il frutto di una visione arcaica della professione precedentemente priva di requisiti e controlli, certamente ancora esistente in qualche realtà, ma sempre meno diffusa in favore di professionisti sempre più informati e competenti, inseriti in organizzazioni sempre più ampie ed efficienti.
Certo è, comunque, che per avere un servizio ottimale è necessario pagarlo.
Marina Gatto, amministratrice Alac.